Il Sacramento difficile
Il perdono nella Bibbia e nella storia della Chiesa Don Emanuele Beghini Vicario parrocchiale di Ranica
Tutti i sacramenti sono difficili ma per alcuni non ce ne accorgiamo. È forse facile credere che nell'ostia consacrata è «veramente» presente il Cristo Risorto? No, ma non ci pensiamo troppo e, indirizzando la nostra attenzione sugli elementi più comprensibili dellEucaristia come lo stare insieme, i bei canti, l'abbraccio di pace, tiriamo avanti.
Per la Penitenza invece non abbiamo scappatoie e non possiamo arrampicarci sugli specchi. Essa è lì con tutte le sue difficoltà di sacramento e di «questo» sacramento.
Perché è difficile?
Di per sé ne abbiamo già parlato nellincontro scorso, ma mi permetto una "sintesi della sintesi". Potremmo credere che la difficoltà maggiore della Penitenza stia tutta nel «confessare» i peccati ad un altro uomo, non sempre migliore di noi. Questa difficoltà è certamente presente tanto è vero che la «confessione», una parte del sacramento, ha finito per dare il nome a tutto il sacramento. Possiamo pensare che sia ben altro, come abbiamo sentito, ma la difficoltà vera sta ancora più a monte: nel «Convertirsi», nel cambiare la nostra vita e seguire Gesù. La difficoltà maggiore è proprio nel gioco della "Libertà" delluomo. Ricordiamoci del rifiuto del giovane ricco!
Immaginiamoci di partire missionari in mezzo a gente pagana. Siamo arrivati lì. Bene, adesso cominciamo a predicare Gesù ed esortiamo gli ascoltatori a cambiare la loro vita, le loro abitudini, le loro convinzioni. Non ci vorrà il computer per contare i convertiti!
Ecco il vero motivo della difficoltà di questo sacramento: esso è una ripresa del Battesimo, della difficile scelta fondamentale per Cristo. Guardiamo coraggiosamente in faccia a tutti i nostri problemi e dubbi nei confronti della Penitenza, essi nascono qui.
A pensarci bene, dovremmo meravigliarci e ringraziare Dio per il fatto che tanta gente si confessa. Se c'è crisi in questo sacramento, è perché c'è crisi di fede. Non scoraggiamoci quindi troppo! E dato che può esserci utile per farci coraggio, ricordiamo che «sempre» questo sacramento è stato difficile. Rivisitiamo brevemente la sua storia nella Bibbia e nel percorso della Chiesa lungo lo scorrere dei secoli.
![]() | La conversione e la Riconciliazione dei peccatori nellAntico Testamento |
La "Liturgia penitenziale" è una delle forme di culto più conosciute dellantico Israele. Una guerra persa, unepidemia, una siccità troppo lunga, un raccolto insufficiente, o qualunque altra calamità pubblica, furono le occasioni naturali per la celebrazione delle liturgie penitenziali.. Ben presto, oltre alle celebrazioni organizzate per queste occasioni particolari, si fissarono alcuni giorni di penitenza pubblica destinati a "placare" Dio e ad ottenere il perdono di tutti i peccati di tutto il popolo (ancora oggi in Israele si vive il "Giorno del Perdono" - "Yom Kippurim").
I peccati, personali o collettivi di tutto il popolo, portavano alla "collera" di Dio e quindi le calamità naturali erano considerate come una punizione che Dio dava come espiazione del peccato commesso. Le liturgie penitenziali erano allora delle liturgie di supplica in cui si chiedeva la misericordia e la protezione di Yahwhè per poter sfuggire a quei mali che certamente sarebbero capitati per le infedeltà commesse. Questa richiesta di perdono e la manifestazione del pentimento avvenivano chiaramente con alcuni gesti altamente simbolici: il popolo digiunava, si stracciava le vesti o si rivestiva di sacco, si cospargeva la testa e il corpo di polvere o di cenere, si prostrava a terra e piangeva con gemiti e lamenti al cospetto di Yahwhè; poi, generalmente, tutti sedevano in silenzio e in digiuno per lintero giorno. Queste pratiche, prese dalla liturgia funebre, erano accompagnate da parole con le quali si riconosceva la propria dipendenza da Yahwhè e ci si rimetteva unicamente alla sua misericordia.
Queste azioni liturgiche avevano anche la funzione di mantenere viva nel popolo e negli individui la coscienza della propria infedeltà e la vigilanza per non ricadere.
Il concetto di fondo che guidava la "teologia" del peccato e del perdono, era la "Logica della retribuzione". In sintesi possiamo spiegarla così: Dio apprezza la fedeltà delluomo alla sua legge e premia con salute, ricchezza, stato sociale elevato, abbondanza in genere, pace; Dio però rifiuta e non tollera linfedeltà, è "geloso", quindi castiga per convertire i suoi figli con malattia, povertà, situazione sociale bassa, indigenza, guerra, persino la morte. Questo per quanto riguarda la vita terrena; in più, con questi atteggiamenti, si determina la propria vita futura nellaldilà.
La prima contestazione a questo tipo di logica è portata dal libro di Giobbe, scritto circa nel V sec. a.C., anche se per un vero e proprio capovolgimento di questo concetto bisogna aspettare la Rivelazione di Dio come Padre misericordioso in Gesù e nella sua morte redentrice.
![]() | La conversione e la riconciliazione dei peccatori nel Nuovo Testamento |
![]() | Il messaggio della penitenza e della remissione dei peccati secondo il NT |
Secondo la testimonianza dei Sinottici, tutta la predicazione di Gesù, come già quella del Precursore, è centrata nella proclamazione della penitenza, della conversione, della metanoia come unica via di ingresso e partecipazione al Regno di Dio e come unica via di salvezza. Il Cristo comincia infatti la sua predicazione dicendo: "Convertitevi perché è giunto il Regno di Dio" (Mt 4,17; Mc 1,15); Egli è "venuto per chiamare i peccatori alla metanoia" (Lc 5,32), affermandone la necessità per tutti: "Se non farete penitenza, perirete tutti nello stesso modo" (Lc 13,3-5). Anche gli Apostoli sono inviati da Gesù Cristo per annunziare a tutte le genti la penitenza e la remissione dei peccati: questo è infatti il contenuto del loro messaggio fin dall'inizio. Questa metanoia consiste in una profonda, totale e definitiva conversione e capovolgimento della vita dell'uomo: un assoluto distacco dal peccato e da tutto ciò che gli è connesso, una radicale conversione a Dio e a Cristo attraverso la fede.
Ma tale conversione, se esige uno sforzo radicale da parte dell'uomo, è anche dono di Dio. Egli infatti è il Buon Pastore che prende l'iniziativa di andare alla ricerca della pecorella smarrita. Per questo la conversione del peccatore è la manifestazione della misericordia di Dio verso tutti gli uomini, manifestazione che ha avuto la sua massima espressione in Gesù Cristo, il "sommo sacerdote misericordioso"
![]() | L'atteggiamento e l'incontro di Gesù con i peccatori |
La parabola del figliol prodigo ci rivela plasticamente l'amore misericordioso di Dio verso i peccatori, fattosi visibile in Gesù Cristo e, insieme, il bisogno di conversione sorto nel peccatore dal suo incontro con la misericordia del Padre. Trattandosi del peccato del "figlio", la tradizione ha visto con frequenza, in questa parabola un'espressione del processo di conversione e riconciliazione che ha luogo nel sacramento della penitenza.
In un senso generale si può dire innanzitutto che questa è la parabola della condizione umana, perché tutti sono peccatori, allontanati dal Padre e infedeli alla sua alleanza. Ma essa è anche la parabola dell'amore misericordioso di Dio verso gli uomini: Dio è Padre che rispetta la libertà del peccatore, ma attende il suo ritorno e corre incontro con le braccia aperte al peccatore pentito. Finalmente essa è anche la parabola del ritorno, della conversione lenta, dolorosa, progressiva del peccatore verso il Padre: i mali che patisce rendono attento il peccatore alla miseria della sua situazione, fanno sorgere in lui la tristezza per la lontananza dalla casa paterna, e, poco per volta, il proposito di alzarsi e ritornare dal Padre; viene poi la confessione del suo peccato e la volontaria richiesta di una riparazione. Ma ecco che sulla stessa via del ritorno lo incontra la premura del Padre, che completa il suo movimento di conversione prevenendo la sua confessione con un bacio di amore, restituendolo, appena fatta la confessione, alla condizione di figlio, e manifestando la sua gioia con la preparazione e la celebrazione di un banchetto. Questa descrizione dettagliata dell'accoglienza paterna significa che Dio perdona totalmente il peccatore pentito e lo reintegra nella comunione totale di vita con Lui.
La parabola è presentata dal Vangelo come risposta di Gesù ai farisei che lo rimproverano di accogliere i peccatori e di mangiare con loro. La sua finalità è quindi di insegnare che il vero Dio è Padre misericordioso che cerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza, senza tuttavia connivenze con il peccato, anzi esigendo un vero pentimento e una radicale conversione. Si noti infine che il banchetto, a cui viene introdotto il peccatore dopo il perdono, potrebbe anche significare, secondo alcuni Padri e alcuni autori moderni, il banchetto eucaristico, segno efficace della piena comunione di vita con Dio e con la comunità.
I Vangeli presentano Gesù non solo come il mediatore della riconciliazione dei peccatori con il Padre, ma anche come colui che incontra i peccatori e accorda loro il perdono in virtù della propria autorità. Nel caso della donna samaritana (Gv 4,6-42) si ha un chiaro esempio di preparazione del peccatore alla conversione. Gesù, prendendo lo spunto da un incontro occasionale, suscita l'interesse e la curiosità nella donna peccatrice verso Se stesso e, invitandola ad un livello più profondo, giunge al punto di rivelarle la propria messianicità, accoglie con bontà la sua implicita confessione e la trasforma quindi in una testimone della propria missione salvifica. Nel caso del paralitico (Lc 5,17-26) Gesù mette in relazione la remissione dei peccati con la fede. In quello della donna peccatrice (Lc 7,36-50), il perdono dei peccati è messo in relazione con una chiara manifestazione pubblica del pentimento motivato dall'amore. La donna sorpresa in adulterio, (Gv 8,1-11) sconvolta e confusa, è difesa da Gesù e rimandata in pace con l'esortazione a non voler più peccare. Zaccheo (Lc 19,1-10) è un peccatore convertito nell'incontro con Gesù, che lo porta a riparare il suo male, e a ricevere così la salvezza. I1 buon ladrone (Lc 23,39-43) è un peccatore che confessa la sua colpa, accetta la sofferenza come espiazione del suo peccato e chiede a Gesù morente il perdono, che gli viene subito concesso.
Rimane il caso dei due apostoli peccatori. Pietro (Lc 22,54-62) si lascia prendere dalla paura della situazione in cui è venuto a trovarsi, ma allo sguardo di Gesù capisce la malizia del suo gesto, se ne pente, piange amaramente con un pianto che ha la radice nel suo amore per Gesù e ripara la sua triplice negazione con una triplice confessione di amore (Gv 21,15-17). Invece Giuda (Mt 26-27) ha preparato con una progressiva infedeltà il suo peccato, separandosi dal Cristo e chiudendosi in se stesso; non riesce perciò a cogliere il senso delle prove di amicizia e di misericordia del Maestro e, sempre più chiuso in se stesso, finisce nella disperazione che lo porta a togliersi la vita.
Questi incontri di Gesù con i peccatori sono una molteplice realizzazione della parabola di misericordia. Un'attenta lettura può aiutare a cogliere alcuni principi pastorali e alcuni atteggiamenti che servono ad illuminare l'incontro del sacerdote, vicario dell'amore di Cristo, con il peccatore nel ministero delle confessioni.
Innanzitutto appare evidente l'arte e l'intuito psicologico di Gesù nel suo incontro con i peccatori: cerca di mettersi al loro livello, di comprendere la loro situazione, per portarli con pazienza e amabilità a una vera conversione, senza respingerli né offenderli. A volte è Gesù stesso che fa il primo passo verso il peccatore (Samaritana, Pietro, Giuda); altre volte sa sfruttare con discrezione e spontaneità una disposizione iniziale buona (Zaccheo); altre volte ancora accoglie con amore il peccatore già pentito (la peccatrice). Appena sorge un segno di vero pentimento, Gesù concede il perdono (la Samaritana e Pietro). Tratta con amabilità anche quelli che non vede pentiti e non forza la loro libertà (Giuda, l'adultera). Ma da tutti esige il pentimento, che è dolore del peccato commesso animato dall'amore almeno iniziale e dalla speranza del perdono (la peccatrice, Pietro). A volte questo pentimento è manifestato espressamente nel riconoscersi peccatore (il figliol prodigo, il buon ladrone), altre volte è reso evidente dal modo di comportarsi (peccatrice, Pietro, Samaritana). In genere porta con sé un cambiamento di vita e la riparazione del male fatto (Zaccheo, Pietro). Ma il pentimento o dolore del peccatore che si chiude in se stesso, che non è animato dall'amore almeno iniziale e dall'attesa del perdono, porta alla disperazione (Giuda).
Nel ministero delle confessioni il sacerdote, vicario dell'amore di Cristo, deve imparare da tutto questo a mettersi nella situazione dei singoli peccatori che incontra e a saper discretamente aiutare a realizzare la loro conversione, rendendoli più coscienti, alla luce della fede, delle diverse dimensioni del loro peccato.
![]() | La conversione e la riconciliazione dei peccatori nella storia della Chiesa |
![]() | Il fervore degli inizi |
Nei primi tre secoli della Chiesa, non abbiamo notizie di un sacramento della Penitenza. il Battesimo veniva dato agli adulti dopo una lunga preparazione e questo era il sacramento della conversione e della rinascita in Cristo. Era inconcepibile che un convertito peccasse gravemente; se accadeva, veniva abbandonato a Dio e alla sua misericordia.
I peccati «quotidiani», le imperfezioni che costellano la nostra vita di oggi come quella di quei nostri lontani fratelli di fede, venivano combattuti con opere di penitenza: l'elemosina e la carità verso il prossimo; la correzione fraterna, cioè il consigliare e il correggere un fratello che stava sbagliando; il perdono delle offese ricevute; il digiuno per i poveri. Questa «penitenza diffusa» teneva alto il livello morale della comunità cristiana.
Se oggi riprendessimo questa pratica della penitenza diffusa? È una strada che si sta già aprendo. Come sempre, la Chiesa si rinnova tornando alle sorgenti.
![]() | La penitenza canonica |
Il numero dei cristiani aumentava velocemente e non tutti ormai si convertivano con l'impegno e la decisione degli inizi. Si affacciava per la Chiesa la necessità di organizzare una seconda «tavola di salvezza» per i battezzati caduti in gravissimi peccati: l'apostasia (il tradimento della fede per paura di persecuzioni), l'omicidio, l'adulterio.
La comunità cristiana, ben cosciente del potere datole da Cristo di perdonare i peccati, si diede delle norme, dei canoni, che regolassero il ritorno dei peccatori nel suo seno. Questa penitenza «canonica» si sviluppa nel IV e V secolo. È molto rigida e concessa con cautela:
1. Il peccatore si recava dal Vescovo e confessava il suo peccato. A volte era il Vescovo a convocare il peccatore quando la sua colpa era nota. Non è mai però esistita la confessione pubblica: qualche eccesso di zelo è stato subito condannato dai Papi. Il Vescovo chiedeva al peccatore se avesse intenzione di convertirsi. Se questi rispondeva affermativamente, non gli chiedeva di recitare tre Ave Maria e andarsene tranquillo, ma di dare una testimonianza pubblica della sua volontà.
2. Il peccatore entrava nell'ordine dei penitenti, un gruppo di cristiani che, anche con segni esterni come il taglio dei capelli e l'abito penitenziale (questi segni erano diversi a seconda delle comunità), manifestava pubblicamente la volontà di convertirsi.
3. La penitenza consisteva:
a) Nell'essere tenuti a condurre una vita mortificata: digiuni, astinenza dalle carni, elemosine ai poveri.
b) Nell'essere obbligati a partecipare a riti speciali e ad assumersi incarichi comunitari, come la sepoltura dei defunti.
c) Nel sottostare a numerose proibizioni come l'esercizio di cariche pubbliche, i rapporti sessuali con il coniuge, la partecipazione all'Eucaristia.
4. La riconciliazione. Il peccatore pubblico veniva riconciliato con un rito pubblico più o meno solenne.
La penitenza canonica ci dà alcuni insegnamenti e spunti di riflessione per l'oggi:
I. La grande importanza data alla scelta di diventare cristiani attraverso il Battesimo. Non si accettavano cristiani «alla leggera! ».
II. Il fortissimo senso comunitario. La fede cristiana ci unisce ad una comunità che ha le sue norme da rispettare pena l'espulsione o penitenze lunghissime e pesanti. Siamo un unico corpo e le sofferenze e le gioie di uno si diffondono a tutti.
Il sacramento attuale dovrà riconquistare questi due valori.
![]() | La penitenza tariffata |
Nel VI secolo, la penitenza canonica era già in crisi: si sottomettevano ad essa soltanto i vecchi e i malati gravi, mentre coloro che ne avevano veramente bisogno la evitavano. Ormai il cristianesimo si stava diffondendo a macchia d'olio e, essendo divenuto la religione ufficiale, molti si battezzavano per convenienza o per seguire l'andazzo.
Cosi, aumentavano i comportamenti peccaminosi e diminuivano i penitenti. Che fare? Monaci fervorosi che percorrevano l'Europa settentrionale e l'Italia del Nord nel tentativo di rianimare le popolazioni cristiane sotto choc per la caduta dell'impero romano cominciarono a diffondere una nuova forma di sacramento della penitenza: la penitenza tariffata. Essa è chiamata cosi dagli storici perché è basata sulla corrispondenza tra peccati e penitenze stabilite in antecedenza e codificate in appositi libri detti "Libri Penitenziali"
La penitenza tariffata segue un itinerario preciso.
1. Il peccatore pentito va dal prete e confessa i suoi peccati.
2. Il prete cerca nel suo libro la penitenza corrispondente a quel peccato e la impone al penitente.
3. Il penitente compie la penitenza da solo.
4. Terminata la penitenza, il penitente ritorna dal prete per ricevere l'assoluzione ed essere riammesso alla comunione.
L'elemento innovativo di questa penitenza è il rapporto «privato» tra peccatore e sacerdote; la penitenza viene soddisfatta senza che la comunità cristiana ne venga messa al corrente.
Per quanto rozza essa ci possa apparire, la Penitenza tariffata ha contribuito grandemente alla educazione dei popoli barbari e ad inculcare in essi il senso della gravità del peccato. Quel poco di storia che conosciamo può bastare a farci immaginare quale dovesse essere la situazione morale di quei secoli.
![]() | Il cambiamento continua |
Molto presto anche questa forma di penitenza, che stava soppiantando quella «canonica», rivela alcuni gravi inconvenienti:
1. I monaci erano per lo più peregrinanti e raramente ritornavano nello stesso luogo. Non era quindi sempre facile ricevere l'assoluzione dopo aver fatto la penitenza perché il monaco non c'era più.
2. Le penitenze erano molto pesanti e un cristiano che vi si fosse sottoposto rischiava di compromettere la sua vita familiare e sociale.
Come fare? Non si poteva lasciare i fedeli senza la possibilità di riconciliarsi con Dio e con la comunità. nello stesso tempo non bisognava mettere i peccatori nella impossibilità di convertirsi.
Pian piano, si cominciò a diffondere l'uso di dare subito l'assoluzione dopo l'accusa dei peccati, rimandando la penitenza a dopo; così il monaco poteva andarsene tranquillo a svolgere il suo servizio altrove. L'altro problema: come combinare la serietà del peccato e quindi la gravità della penitenza con la necessità di lasciar continuare a vivere i peccatori?
Venne diffondendosi l'uso delle «Commutazioni». Il peccatore cioè poteva chiedere che la penitenza assegnata dal libro per il suo peccato potesse essere commutata con un'altra, ugualmente dura, ma meno lunga nel tempo:
1. Così al posto del digiuno di tre giorni, si poteva stare un giorno e una notte senza dormire.
2. Al posto del digiuno di un anno, si poteva passare tre giorni nella tomba di un santo senza bere, senza mangiare, senza dormire, cantando salmi e cantici. In questo contesto nascono le "Indulgenze".
Ben presto si diffuse anche l'usanza di «commutare» le persone. Un mercante aveva defraudato un povero e doveva fare un anno di digiuno che avrebbe rovinato per sempre i suoi affari? Cercava un monaco disposto a digiunare per suo conto, ovviamente in cambio di una discreta somma per il monastero.
Potremmo essere tentati di ridere di fronte a questa faticosa ricerca della Chiesa di dare ai peccatori il perdono, come Cristo aveva comandato e, contemporaneamente, di non svendere il perdono banalizzando il peccato. Non dobbiamo però ridere, ma rispettare i tempi e la storia cercando di cogliere il buono che sta sotto ad usanze apparentemente strane: chissà quanto rideranno i nostri posteri venendo a sapere che noi, anche in presenza di gravi peccati, ce la caviamo con qualche preghierina!.
Un cristiano che cercava un fratello di fede disposto a caricarsi della sua penitenza, credeva nella Chiesa, unico corpo di Cristo, nella quale ciascuno deve portare il fardello degli altri. Magari noi cristiani «solitari e individualisti» di oggi avessimo questa fede! Prendiamo il caso peggiore: un peccatore disposto a sborsare fior di quattrini per farsi perdonare i suoi peccati... Ci sembra una cosa troppo facile, vero? Siamo proprio convinti che, oggi, tanti cristiani sarebbero disposti a pagare una piccola somma per i loro peccati? No, non credo proprio! È molto più facile dichiarare, con l'aiuto di qualche pseudopsicologo compiacente, che il peccato non esiste e che quindi si può andare a fare la comunione e ritenersi in comunione con la Chiesa senza confessarsi (sborsando nel frattempo fior di quattrini!). Ridiamo (o piangiamo!) di noi, che è meglio!
![]() | Verso la confessione privata |
Inconvenienti comunque ce ne potevano essere nella penitenza tariffata e la Chiesa di quei tempi se ne rendeva ben conto. Per forza di cose, l'attenzione dei peccatori si stava spostando sempre di più dalla coscienza del peccato alle opere della penitenza. Queste erano la vera preoccupazione! Poi, e la cosa era anche più grave, il ricco poteva con facilità trovare un cristiano disposto a scontare la sua penitenza, ma il povero? Questi interrogativi conducono i cristiani verso una forma di penitenza più popolare: i pellegrinaggi. Hai peccato? Fai un pellegrinaggio di tre mesi in quel santuario. Quando arrivi sei perdonato! Chissà che non valga la pena anche per noi di rivalutare questa forma?
Un capufficio tratta senza carità i suoi dipendenti per la fretta? Si prende un giorno di ferie e si fa un bel pellegrinaggio a piedi al vicino santuario. Oppure, va con la macchina in un santuario lontano e rimane lì tre giorni (di ferie!) in preghiera e meditazione. Al ritorno, i suoi peccati di nervosismo sono perdonati, ma ciò che più conta, ha avuto lopportunità di ripensare al suo modo ci condurre i rapporti di lavoro e può iniziare un cammino di conversione.
Un'altra svolta però risulta più importante dalla continua meditazione della Chiesa sulla sua missione di rimettere i peccati e dalla difficoltà di trovare una forma esterna possibile: la confessione individuale.
Si comincia a capire che quello che conta è il perdono di Dio e non tanto lo sforzo delluomo. La Chiesa deve avere il cuore grande, come il Padre del figlio prodigo; non deve far pesare troppo il perdono a chi torna a casa.
Ma il confessare i propri peccati ad un altro uomo, non è già una grande penitenza? Anzi, non è forse la più grande penitenza per il nostro orgoglio? A questo punto il Sacramento della Penitenza comincia ad essere chiamato "Confessione": la parte considerata più difficile dà il nome allintero Sacramento. Questa parte verrà poi sempre più curata: tutti i peccati, tante volte.
![]() | Dal medioevo al Concilio Ecumenico Vaticano II |
Nel 1215, il Concilio Lateranense IV stabiliva che ogni cristiano dovesse confessarsi almeno una volta all'anno. Era il passaggio definitivo alla nuova forma di penitenza basata essenzialmente su una confessione attenta, minuziosa, quasi meticolosa dei propri peccati. Quella Penitenza che la Chiesa dava prima con tanta difficoltà a cristiani che, in forza del Battesimo, non avrebbero più dovuto scendere a compromessi con il peccato, veniva ora obbligata almeno una volta all'anno e, pian piano, raccomandata anche tutte le settimane o, in certi casi, più volte alla settimana.
Naturalmente diminuiva il senso di «scelta fondamentale» del Battesimo. Ma ormai si battezzavano tutti i bambini! L'importante era perfezionare continuamente questa scelta e la confessione frequente era un buon mezzo.
Quasi scompariva poi, nella Confessione, il riferimento alla comunità cristiana perché il sacramento era vissuto sempre più in un rapporto privato penitente-confessore. Ormai i cristiani non erano più «il piccolo gregge» in mezzo alla massa dei pagani. Tutti erano cristiani: la società era cristiana. Non sembrava più così importante sottolineare una realtà ovvia proprio perché accettata da tutti. Alla Chiesa si apparteneva: punto e a capo.
La tempesta protestante, che contesta il sacramento della Confessione, non fa che accentuare l'uso «devozionale» del sacramento. Esso diventa la «ripresa» continua di una vita dedicata a Dio da strappare quotidianamente alle seduzioni del male. Ogni rito spirituale terminava con la Confessione. Il Concilio di Trento, forse per mantenere in qualche modo il legame con la comunità, stabilirà che la Confessione deve essere celebrata non nella casa del sacerdote ma nella Chiesa. Che almeno si dia questa testimonianza di riconoscersi peccatori davanti a tutti! Se ci riconosciamo peccatori inginocchiandoci davanti al sacerdote, non possiamo ritenerci impeccabili e quindi erigerci a giudici degli altri. Da questo obbligo di confessarsi in chiesa, scaturì nel secolo XVII, l'uso del confessionale.
![]() | Dal Concilio ad oggi |
Una nuova fase del sacramento della Confessione è iniziata con il Concilio Vaticano II ed ancora dura:
1. nei nostri giorni è scomparsa la «cristianità»: ormai non tutti sono cristiani; i discepoli di Cristo tornano ad essere «piccolo gregge». C'è nuovamente bisogno di stimolare il senso di appartenenza alla Chiesa. E il sacramento della Penitenza dovrà ritrovare la capacità di sottolineare questo valore.
2. Nei nostri giorni è diminuito il senso del peccato sotto la spinta di ideologie che osannano all'istinto come vera e unica forza "buona". Bisognerà che il sacramento della Penitenza ritrovi modi concreti che facciano meditare sulla gravità del peccato.
3. Nei nostri giorni sono diminuite le «parole» che hanno senso. È bene quello che mi piace; ciò che mi fa arricchire in fretta; ciò che non mi richiede fatica. Bisognerà che il sacramento della Penitenza diventi una spinta per ritrovare il senso profondo della vita così in pericolo di fronte a tanta leggerezza e superficialità. C'è una parola che «ha senso e dà senso»: la parola di Dio. Il sacramento della Penitenza dovrà diventare un confronto serio con questa Parola.
Bibliografia
La Bibbia di Gerusalemme traduzione CEI
J. Ramos Regidor, Il Sacramento della Penitenza, Elle Di Ci, Torino, 1985
C. M. Martini, Ritorno al Padre di tutti, Centro Ambrosiano, Milano, 1998
Comitato delle Diocesi lombarde per il giubileo, Cammino di conversione e Sacramento della Riconciliazione, 1998
AA.VV., La Penitenza, Elle Di Ci, Torino, 1989
CEI, Rito della Penitenza, L.E.V.,1974
T. Lasconi, Il pane, il vino e il perdono, Ed. Paoline, 1997